Oh, guarda un po’, Cover Orange: Journey Pirates è quel tipo di gioco che ti prende per la gola... o meglio, per le arance! Qui non stai solo a spostare qualche frutto su uno schermo, no no, sei il pirata di un mondo dove le arance sono le vere protagoniste e devono scampare a piogge velenose e trappole degne di un capitano Sparrow con l'umore stonato. Seriamente, chi ha inventato questi livelli? A volte sembra di dover risolvere un enigma degno di Sherlock Holmes, ma senza la pipa e con più agrumi in pericolo.
La vera magia sta nel sistema di gioco basato sulla fisica: pensa a un puzzle dove devi piazzare ombrelli, casse e pesi come se fossi un ingegnere in versione pirata, per creare barriere anti-pioggia da paura. E no, non basta mettere un ombrello a casaccio, devi capire come interagiscono gli oggetti con la gravità e il vento, o le tue arance finiranno a fare la doccia non voluta. Ho provato a capire il crafting e ho finito per fare un pasticcio degno di MasterChef, ma quando finalmente vedi l’orange team salvo... GG, che soddisfazione!
Il controllo è così semplice che anche tua nonna potrebbe diventare una pirata esperta: un click, trascini, piazzi e speri che la tua barriera regga all’assalto del temuto nuvolone malefico. Ma attenzione, ogni livello è come una nuova mappa di Fortnite: diverso, imprevedibile e con una dose di “maledizione, come faccio adesso?”. E poi all’improvviso... beh, lascia stare, ci sono trappole e ostacoli a non finire, e ogni soluzione richiede quella furbizia da vecchio lupo di mare.
Se ti piace metterti alla prova con un mix di strategia e ingegno (e vuoi salvare un esercito di arance sfortunate), questo gioco fa per te. Ogni livello ti spinge a sperimentare, a combinare oggetti e a migliorare le tue strategie, perché ok, anche qui ci sono soluzioni OP, ma il divertimento è proprio nel trovare il modo più furbo per fare tutto senza far finire le arance in padella. Insomma, un’avventura pirata che ti farà sorridere e pensare, e che ti farà rivalutare quanto siano eroiche le arance. Chi l’avrebbe mai detto?